IL GRUPPO-CLASSE E LE DINAMICHE DI GRUPPO IN CAMPO EDUCATIVO
Sintesi dell'articolo
Affinché la scuola sia un luogo dove si apprenda il rispetto reciproco, è necessario che gli insegnanti abbiano delle conoscenze di base delle dinamiche di gruppo. In particolare, due dinamiche possono caratterizzare le relazioni all’interno di un gruppo classe: una ha un carattere ansioso e difensivo, mentre l’altra si basa sulla curiosità e sul desiderio di conoscenza. Queste due dinamiche hanno effetti diametralmente opposti sulla struttura del gruppo classe: la prima produce frammentazione, esclusione e malessere, mentre la seconda produce coesione, inclusione e un clima di appartenenza L’insegnante può attivare consapevolmente, attraverso una metodologia adeguata basata sul gioco corporeo, una dinamica di gruppo positiva che faccia sentire i bambini protetti e rispettati nella loro soggettività e inneschi un processo di apprendimento di competenze relazionali. Se invece le dinamiche di gruppo non vengono gestite attivamente, tenderà a prevalere automaticamente una dinamica di tipo difensivo.
Se osserviamo una classe di qualsiasi ordine di scuola dal punto di vista relazionale, la possiamo definire come una rete di relazioni fra tutte le persone coinvolte, ovvero bambini e insegnanti. La classe è a sua volta inserita in un campo relazionale più ampio – di cui fanno parte genitori, bambini e insegnanti delle altre classi, personale non docente e dirigente – che ha un’influenza non trascurabile. In questa sede tuttavia mi concentrerò sulle dinamiche del gruppo-classe in senso stretto, poiché, in quanto formazione stabile e duratura nel tempo, incide maggiormente sul bambino.
Nella scuola italiana la maggioranza dei gruppi classe supera le quindici persone (nelle città solitamente le venti), quindi in generale dobbiamo pensare a ogni classe come a una micro-comunità e non a un piccolo gruppo, che non dovrebbe avere più di dodici-quattordici membri.
In quanto formazione stabile che può durare dai 3 ai 5 anni, questa micro comunità nasce, cresce e si sviluppa nel tempo attraverso dinamiche di vario tipo che è importante saper leggere e comprendere.
Prendiamo per esempio i primi momenti della formazione di una classe di scuola primaria: per i singoli bambini questi sono connotati da un notevole disagio-imbarazzo-eccitazione-paura, una specie di caos di emozioni intense dovuto al prevalere nelle relazioni dell’estraneità e dell’ignorarsi reciproco, in un campo in cui le figure familiari da cui trarre sicurezza sono assenti. Si tratta di una situazione percepita come indefinita e destrutturata dal punto di vista relazionale: la classe appare come una massa informe, pericolosa perché molto più potente del singolo e talvolta dello stesso insegnante, che può “far male” sia fisicamente, perché gli altri si muovono tutto intorno, sia psicologicamente, perché può succedere di non essere visti, di essere delusi nelle aspettative, di essere considerati inadeguati, sbagliati, non degni di attenzione e di affetto.
La tendenza di ogni bambino sarà di uscire velocemente da questa situazione potenzialmente pericolosa, rassicurandosi attraverso un’alleanza con qualcuno; così nel giro di pochissimo tempo ognuno cercherà qualche compagno con cui ritrovarsi, con cui legare affettivamente e sentirsi accettato. Queste alleanze servono inoltre a trovare rifugio in una relazione uno-a-uno più familiare e controllabile, poiché un gruppo di quindici/trenta compagni risulta per un bambino (ma anche per molti adulti) completamente ingestibile.
Gli insegnanti, in quanto adulti del gruppo, suscitano un doppio sentimento di timore e di protezione e, a seconda della prevalenza dell’uno o dell’altra, hanno il potere di accentuare o mitigare la “pericolosità” della situazione.
Il bisogno di proteggersi e rassicurarsi attraverso l’alleanza con l’altro diventa così il primo motore che spinge a creare relazioni con i compagni in questa micro-comunità della classe scolastica. Questo tipo di motore relazionale, che potremmo definire di tipo ansioso, porta a un modello caratteristico di sviluppo delle dinamiche di gruppo: in base alle forze naturali di attrazione e repulsione, le singole persone si associano fra loro a formare insiemi più o meno stabili, legati da forze affettive più o meno forti, di due o più bambini. Da queste formazioni alcuni rimangono esclusi finché la dinamica delle relazioni non consente loro di trovare qualche reciprocità che permette loro di "sentirsi appartenere". Alcuni purtroppo entrano nel ruolo dell’escluso e ci rimangono per anni, finché il cambiamento di scuola e classe non concede loro una nuova possibilità per cambiar ruolo.
In altre parole, il sistema gruppo-classe si divide velocemente in sottosistemi con alte probabilità di lasciare da soli i meno abili nel costruire relazioni. Il sistema classe in breve si ritroverà diviso in sottosistemi formati da due o più persone, o da singoli, e su tutti questi sottosistemi continuerà ad agire la logica difensiva, per cui alcuni di essi si ritroveranno in posizione di esclusione. La logica difensiva ha infatti un’alta probabilità di produrre esclusi, non solo singoli: per esempio in posizione di esclusione si può ritrovare anche una coppia o un piccolo gruppo di compagni. Una classe così divisa produce nel campo relazionale un “rumore di fondo” dato dalla necessità di ogni sottosistema, in particolare quelli in posizione di esclusione, di ottenere attenzione dall’insegnante.
L’insegnante così non riuscirà ad avere l’attenzione di tutto il gruppo, e ci sarà sempre una parte della classe che richiederà attenzione quando sente di non averla. Anche un solo bambino che si sente escluso e che reagisce a questo disagio in maniera attiva metterà in scacco il lavoro di classe richiamando continuamente l’attenzione su di sé. Dall’analisi statistica di 454 psicosociogrammi[1] appartenenti a un campione di gruppi-classe della scuola dell’obbligo (scuole dell’infanzia, primarie e secondarie) di varie regioni italiane., gli alunni in posizione di esclusione sono risultati in media 1,4 per classe.[2]
Bisogna anche considerare che alcuni di questi non reagiscono in maniera attiva all’esclusione, ma l’accettano passivamente o addirittura si autoescludono. Questi sottosistemi, pur non creando problemi, non sono più una risorsa per la classe. Inoltre i bambini che ne fanno parte vivono un grave disagio psicologico; molti di questi faranno tante assenze, e comunque il loro malessere influirà negativamente sul clima emotivo del gruppo.
Se la scuola non si prende la responsabilità di includere consapevolmente le dinamiche di gruppo nel processo educativo, alla fine del percorso scolastico ciò che con ogni probabilità verrà appreso con l’italiano e la matematica sarà che il gruppo – e ancor più la comunità – sono pericolosi, sono realtà da cui bisogna difendersi, e che le relazioni affettive stabili che si realizzano nel corso degli anni servono a proteggersi da questo pericolo rappresentato dagli altri, dal gruppo e dalla comunità, e dalla società nel suo insieme. Si tratta di un apprendimento di cui si è poco consapevoli, conseguenza del fatto di non avere avuto modo di riflettere sulle relazioni e di essere cresciuti in gruppi lasciati a se stessi.
Parallelamente alla spinta a proteggersi, esiste però un altro motore che può spingerci a creare relazioni, e cioè il desiderio di conoscenza, di conoscere se stessi e gli altri. La filosofia e la psicoterapia ci hanno dimostrato quanto l’uomo poco conosca di se stesso e come attraverso gli altri, interagendo creativamente, possa imparare a farlo meglio. L’area sconosciuta, rappresentata da tutto ciò che ancora non si conosce di sé e dell’altro è immensa, (QUALE AREA?) ma altrettanto vasta è la possibilità di conoscersi. Incontrarsi per conoscersi è un motore affascinante. Questa spinta alla conoscenza funziona particolarmente bene con qualcuno e con altri meno, ma tutti sono degni d’interesse, perché la diversità o le difficoltà iniziali, in questa logica conoscitiva, non rappresenteranno paure da cui difendersi, ma opportunità speciali.
La “Finestra di Johari”[3], ideata dagli psicologi Joe Luft e Harry Ingham, è uno schema semplice che illustra come l’interagire con gli altri ci permette di farci conoscere, di sapere come gli altri ci vedono e di scoprire zone ignote di noi stessi. È un modello grafico dell’interazione interpersonale che consiste in una finestra divisa in quattro aree.
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Conosciuto a me |
NON conosciuto a me |
Conosciuto agli altri |
AREA NOTA: caratteristiche fisiche ecc.
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AREA CIECA: come sono visto dall’altro, quello che suscito nell’altro con i miei comportamenti ecc. |
NON conosciuto agli altri |
AREA NASCOSTA: vissuti soggettivi, quello che l’altro mi suscita con i suoi modi di fare, preferenze, valori, intenzioni ecc. |
AREA SCONOSCIUTA: tutto ciò che ancora non conosco di me e dell’altro. |
Un’area conosciuta a noi e agli altri; un’area nascosta, ovvero quello che gli altri non sanno di noi; un’area cieca, quello che gli altri vedono di noi e che noi non vediamo; un’area sconosciuta, che comprende tutto ciò che non sappiamo di noi e degli altri.
Il frutto dell’interazione sarà l’allargamento dell’area conosciuta, inizialmente molto limitata, che aumenterà progressivamente grazie all’interazione con gli altri.
La prevalenza di una dinamica conoscitiva porta il gruppo a crescere in maniera molto diversa rispetto ai gruppi dove prevale la dinamica difensiva. Il primo vantaggio della dinamica conoscitiva è quello di non produrre esclusi: tutti con la giusta relazione possono essere conosciuti, e ognuno può essere speciale nel farti conoscere una parte di te stesso.
Un altro importantissimo vantaggio è il modello di comunità che si offre al bambino: una comunità unita, sentita come capace di contenere tutti, dove ognuno è una risorsa per l’altro in quanto indispensabile per conoscersi; una comunità a cui è bello appartenere perché dà la possibilità di esprimere se stessi e di essere ascoltati dagli altri. Chi si prende la responsabilità di condurre questo tipo di comunità si pone come modello di consapevolezza, in quanto persona attenta a quello che essa stessa mette in moto nel campo relazionale con il suo modo di agire, capace di orientare nell’interesse collettivo e di far star bene senza escludere nessuno.
Il tema dello stile di conduzione del gruppo è cruciale, in quanto la dinamica conoscitiva molto difficilmente si mette in moto da sola, senza che il gruppo venga condotto consapevolmente in quella direzione. O meglio, per le ragioni già esposte, è molto improbabile che si metta in moto da sola in un gruppo numeroso di bambini piccoli qual è una classe di scuola primaria; quindi solitamente la maggior parte dei bambini cresce senza apprendere a gestire in maniera più creativa e meno difensiva le relazioni nel gruppo, diventando spesso ragazzi – e poi adulti – “traumatizzati” dal gruppo.
Se invece i bambini trovano adulti capaci di creare un campo sicuro e favorevole alla dinamica conoscitiva, diventeranno sempre più autonomi nel promuovere una cultura di gruppo creativa e rispettosa, e percepiranno il gruppo come una risorsa preziosa in ogni ambito della vita.